La sottile riflessione sulla storia di Pablo Larrain

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CON <<NO, i giorni dell’arcobaleno>> il regista cileno Pablo Larrain conclude la trilogia iniziata con l’indimenticabile <<Tony Manero>> e poi proseguita con il cupo e affascinante <<Post Mortem>>, film descritti ampiamente su questo blog  agli indirizzi www.guidoschittone.com/?p=323 e www.guidoschittone.com/?p=245. Non c’era bisogno di quest’ultima prova per comprendere quanto Larrain sia bravo e intelligente, però, come direbbero i saggi, aiuta. Perché qui, a differenza delle due precedenti prove d’autore, l’esponente cult di una delle cinematografie più interessanti degli ultimi anni rischiava il flop. Per il soggetto, in apparenza più semplice, meno misterioso, con minori spunti drammatici, e per la potenziale elegia che ne poteva scaturire. Se questo non accade il merito va tutto all’autore cileno che sotto le forme di un’opera strettamente legata alla realtà dei fatti, lascia perdere qualsiasi visione propagandistica o di schieramento per addentrarsi invece nella riflessione profonda di come le rivoluzioni, i ribaltamenti, le conquiste sociali della storia spesso accadano quasi per caso. <<No, i giorni dell’arcobaleno>> è la storia del famoso referendum che nel 1988 permise alla nazione sudamericana di liberarsi dalla dittatura di Augusto Pinochet. Una consultazione popolare voluta dall’esterno e appoggiata dalla dittatura stessa che stoltamente vedeva in questa opportunità il potenziale per darsi una patina democratica e libertaria a livello internazionale. La cronaca di quei giorni ha invece dimostrato il contrario: i No vinsero con ampia maggioranza, sancendo il definitivo declino del dittatore e il ritorno della democrazia in un paese che quindici anni prima era stato sconvolto dalla destituzione violenta di Salvador Allende e dall’instaurazione di un regime che si era macchiato di assassini, deportazioni e limitazioni alla libertà individuale. Per Pablo Larrain  il rischio di cadere nello scontato, nel classico film di denuncia, era grande così come appariva sufficientemente scontato il potenziale di dividere in bianco e in nero tutta la riflessione sulla dittatura e sui suoi oppositori. Invece questo non avviene, perché, l’ annotazione di pura cronaca permette a <<No, i giorni dell’arcobaleno>> di tenersi alla larga dal filone dei film di denuncia così come delle tesi precostituite.

NON E’TANTO  la crudeltà del regime ciò che Larrain vuole mostrare. Lo aveva già fatto nelle due pellicole precedenti, usando l’allegoria, mischiando i toni noir di <<Tony Manero>> con la cupezza disgregante di <<Post Mortem>>. In <<No, i giorni dell’arcobaleno>> l’autore pare prendersi una pausa, alla ricerca di un alleggerimento estetico che permette di superare le problematiche <<locali>> e di quell’episodio specifico. Perché in questo film il ragionare non è  sull’individuo alle prese con la dittatura, quanto di come la storia possa mutare attraverso la forma di comunicazione che viene usata. E’ il grande merito del regista cileno e dei suoi sceneggiatori. Ricostruendo le vicissitudini del pubblicitario René Saavedra, interpretato da un  Gael Garcia Bernal in splendida forma, e del variegato gruppo di suoi collaboratori che devono trovare spunti e modi per promuovere in televisione la fazione del No contrario al dittatore, Larrain sposta il proprio obiettivo dal Cile di quell’epoca alla storia intera. E’come se spiegasse a chi osserva quanto gli eventi possano essere non solo influenzati ma determinati dall’uso che i gruppi sociali fanno della parola e dell’immagine. La campagna referendaria, quindi, viene analizzata e mostrata per andare oltre ciò che lo stesso spettatore vede in scena; la forza del messaggio che non deve essere necessariamente basato su dati e fatti reali, quanto sull’allegoria, ironica, leggera ma non superficiale, ben più prorompente di qualsiasi discorso sui morti, sui desaparecidos, sui diritti negati che l’ortodossia politica vorrebbe invece mettere in evidenza.

E’, nonostante lo svolgimento in punta di piedi che Larrain si è imposto, una interessantissima presa di coscienza della casualità storica, dell’impotenza dei cuori che pulsano, della forza della manipolazione, della mistificazione pubblicitaria. Nel film il regista usa a piene mani moltissimo materiale dell’epoca: telegiornali, gli spot originali, i documentari. Compie un’esegesi approfondita di quei mesi, sfrutta i suoi personaggi come se facesse <<no fiction>> e non importa se alla fine i buoni vincono e i cattivi finiscono in esilio. Bisogna andare oltre mentre si segue con il sorriso sulle labbra il film. Nella realtà il pubblicitario René pur essendo figlio di una delle vittime del regime, sa che sta svolgendo semplicemente la propria professione. Crede nel No quanto il suo principale – l’attore feticcio di Larrain, Alfredo Castro- si adopera per il Si. L’uno e l’altro  sono  i volti della stessa medaglia. Svolgono il loro mestiere, si combattono tirando di fioretto più che di filosofia o credo politico. Non è un caso che le scene finali ci consegnino René quasi stupìto della vittoria perché anche lui come i personaggi di Raul Peralta in <<Tony Manero>> o Mario Corneo in << Post Mortem>> non è un eroe. Gli eroi non esistono. Non c’erano nei due splendidi film precedenti, non ci sono in questo che forse non ha la stessa forza drammatica ma che è sottile, intrigante con la presa di coscienza sociale del protagonista che arriva appunto con lo stupore di chi soltanto dopo aver compiuto la propria opera riesce a comprendere come ha inciso nella storia del suo popolo. Sarebbe stato molto facile, fin troppo scontato, concedersi alla retorica, alla demagogia. Non per Pablo Larrain che chiudendo il proprio trittico ne apre, idealmente, uno nuovo e ben poco consolante. La differenza è che in <<No, i giorni dell’arcobaleno>> il suo pessimismo è travestito. Ma resta sotto traccia, dietro a una corsa in monopattino che sa di liberazione o nel cielo azzurro di Santiago con un attore travestito da James Bond che lancia saluti da un elicottero a un gruppo di attrici di una soap opera da promuovere. Tutta la vita di una nazione in <<No, i giorni dell’arcobaleno>> è uno spot pubblicitario. La finzione come fattore determinante degli eventi. Sopra il dolore degli altri.

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