Gli assassini hanno princìpi

1471_ico.jpg<< In Bruges, la coscienza dell’assassino >> è un altro film che segue il mondo dell’etica e delle regole laddove sembrerebbero non potere esistere. Se ne << Il divo >> l’etica che muove il personaggio Giulio Andreotti è quella politica con l’azione al servizio della ragion di Stato, se in << Gomorra >> la microsocietà della camorra è l’unica conosciuta dai propri adepti, nel film dell’irlandese Martin McDonagh, la coscienza dell’assassino è non venire meno ai propri princìpi. Ce lo insegnano il miglior Colin Farrell mai visto sugli schermi, un grande Ralph Fiennes e l’eccellente Brendam Gleeson in un film dove l’esperienza teatrale dell’autore riesce a rileggere il genere, offrendone un’interpretazione allo stesso tempo riflessiva, divertita e divertente.Due killer di professione sono stati inviati a Bruges dal misterioso committente perché il più giovane dei due, al primo omicidio, oltre a un prete ha ucciso involontariamente un bambino. Attendono, come Vladimiro ed Estragone di << En attendant Godot >>, una telefonata di Ryan che sembra non arrivare mai. Nel mondo dei professionisti i bimbi non si toccano ed è facilmente immaginabile quale sarà il compito del killer più anziano. Detto così si penserebbe al solito lacerante racconto sul senso di colpa. Invece no: McDonagh , pur essendo nato a Londra, è irlandese fino al midollo, ha il gusto del grottesco, della battuta pronta, l’assenza di buonismo, la capacità dell’iperbole, l’ironica visione dello stato delle cose. Così i suoi personaggi si muovono davvero come se si trovassero in un’ambientazione di fiaba, pronti alla morte, consci del proprio destino, ma vivi, attaccati all’esistenza e ai sentimenti. Ci sono state migliaia di film sulle crisi morali dei gangsters. Mescolando Scorsese e De Palma, facendo l’occhiolino ai Cohen, riportando alla luce la figura del nano, più folletto shakspeariano che specchio di Lynch, McDonagh ci propone una << gangster comedy>> nella quale si ride dal primo all’ultimo minuto senza perdere mai di vista quello che sarà il destino del trittico di protagonisti. Così mischiando dramma e sorriso, inventandosi battute a raffica anche di fronte al giorno del giudizio di Hieronymus Bosch ( << il purgatorio deve essere un posto dove non si sta bene come in paradiso e male come l’inferno. Dove c’è il Tottenham >> ) l’autore, vincitore dell’Oscar per il cortometraggio nel 2006 con << The shooter >>, regala uno dei film meglio riusciti dell’anno nel quale alla fine nessuno salverà l’esistenza ma morirà con l’orgoglio e l’onestà di essere sempre stato fedele a sé stesso, con la coscienza di dover espiare i propri errori. Forse per non fare la fine del Tottenham….

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