che tristezza quei teatri vuoti

Un tempo, per la sera della prima, i teatri italiani che ospitavano la prosa erano pieni: per accaparrarsi un biglietto, anche di galleria, ci si dava il turno con gli amici in lunghe, estenuanti file senza la certezza che poi quel biglietto fosse disponibile. Ma parlo, appunto, di un tempo, della mia frequentazione teatrale molto assidua tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando l’avanguardia veniva messa in crisi dalla post avanguardia e i classici, come minimo, dovevano essere “rivisitati”, pena l’esclusione dal gradimento del pubblico più smaliziato e competente. Oggi viviamo un’epoca di restaurazione: difficile trovare a teatro qualcosa di realmente innovativo. Spettacoli che nel periodo d’oro apparivano a metà tra il moderno e l’avanguardistico, quindi commestibili ai più, continuano a circolare tra i titoli proposti dai vari enti e dalle varie sale. Si è tornati a giocare sul sicuro: se si mette in scena Pirandello, Shakespeare o qualche classico, si sa che l’incasso dovrebbe essere più o meno assicurato. Beckett, Ionesco, Pinter difficilmente si vedono. Brecht, passata la moda e l’eccesso di proposte, a poco a poco si è dissolto. Ma questo non basta per mettere in rilievo la crisi che non è solo di idee ma di pubblico. Cito un piccolo esempio personale: sono appena tornato da una buona edizione di ” Riccardo III” recitata da Flavio Bucci al Teatro Duse di Bologna. Era una prima per il capoluogo emiliano in una sala dal ricco passato e faceva parte della stagione riservata agli abbonati. In teoria avrebbe dovuto essere quasi impossibile recuperare un biglietto. Ebbene ho trovato, via internet, il posto di platea ad appena ventiquattro ore dallo spettacolo, in una fila sufficientemente vicina al palcoscenico, in posizione centrale, cosa che ….ai miei tempi avrebbe comportato la caccia alla raccomandazione. Con mia sorpresa-amara s’intende- una volta giunto in teatro ho scoperto che i tanti posti vuoti che c’erano al momento della prenotazione non erano stati riempiti. Che la platea a partire dall’undicesima fila era sostanzialmente una lunga fila di poltroncine rosse senza spettatori, per non parlare della galleria totalmente deserta. E’il segno di questi anni, di una crisi che non dipende da motivi economici (i 23 euro per il teatro sono meno dei 30 o dei 40 per una discoteca o dei 50 per un concerto di qualche star del pop) ma dall’assoluto distacco della gente nei confronti di un’arte che in Italia ha grandi interpreti, una grande scuola e una solida storia ma non viene né promossa, né studiata. Un teatro semivuoto è più triste di un cinema senza gente. Perché quei…fori bianchi, quelle assenze che l’attore vede di fronte a sé indicano disinteresse. Sono il segno di questi tempi sbagliati, di questo mondo che prosegue a cambiare.In peggio.

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