Sound of Metal:l’esaltante Riz Ahmed ci porta oltre la storia di un film ipnotico

Si scrive Darius Marder ma si può leggere anche Derek Cianfrance perché Sound of Metal è una perfetta commistione di idee dello sceneggiatore di Come un Tuono e il suo regista. Non a caso Sound of Metal era un progetto scaturito dai due che avrebbe dovuto dirigere il secondo che, a sua volta, per ragioni di produzioni parallele l’ha lasciato nelle mani del proprio sceneggiatore preferito, qui all’esordio registico. Sound of Metal è quindi figlio di una tradizione: di Cianfrance, tra gli autori più interessanti del cinema contemporaneo, segue i ritmi, lo svolgimento, la poetica dell’interiorità combattuta, contradditoria, devastata, il dato sempre presente nei suoi film, a partire da Blue Valentine con cui questo splendido film, uscito sulla piattaforma di Amazon Prime per impossibilità di essere mostrato nelle sale-riapriranno mai più?-ha una sorta di contiguità ritmica e strutturale e, per certi versi, assimilabile in parti del contenuto. In Sound of Metal la musica è il terminale che unisce Riz Ahmed e Olivia Cooke così come <<You Always Hurt the One You Love>> aveva posto la parola inizio all’amore tra Ryan Gossling e Michelle Williams. Solo che nel film firmato da Marder è la rabbia del rock duro ritmato dalla batteria di lui e urlato dalla voce di lei a farci compredere subito che ognuno dei due è alla disperata ricerca di un punto di equilibrio individuale, del centro di gravità permanente. Quindi Sound of Metal è una storia d’amore dal sapore vagamente deja vu e dall’esito scontato? No, per niente, perché Marder e lo stesso Cianfrance inseriscono il fatto drammaturgico chiedendosi cosa accadrebbe al protagonista maschile se all’improvviso perdesse l’udito e la possibilità di esprimersi attraverso la musica e le percussioni.

Il silenzio come rumore

L’equilibrio inziale quindi si spezza. La musica diventa un ricordo, il film si trasforma in assenza di suono e poi di improvvise e inattese distorsioni sonore, di perfetta quanto magica coesione tra il protagonista e lo spettatore. Noi siamo lui, precipitiamo nel suo dramma, nella sua voglia di non accettarlo. Intuiamo, anche se non sarà mai chiarito, il suo passato, veniamo sbattuti come lui in una terra di mezzo tra suono e silenzio e soprattutto nel dubbio di cosa accettare, di cosa ci sia realmente da ascoltare della nostra esistenza quando i conti con il proprio ego non producono che confusione, indecisione, rabbia. Il percorso compiuto dallo straordinario Riz Ahmed si fa comune, ci coinvolge, ci pone domande che vanno oltre la storia di Sound of Metal. Perché nel film di Marder è palese la riflessione sull’invadenza superficiale e la disperata inutilità della comunicazione sociale contemporanea, del suo asfissiante e quasi sempre inutile bombardamento-gli ultimi social network mi fanno sognare un hashtag #nonhonientedadireenulladaascoltare#-che scandisce il nostro quotidiano. Fondamentale a questo proposito è la scena in cui Ruben-Riz Ahmed-viene costretto dal direttore della comunità per sordomuti Joe-un composto e incisivo Paul Raci-a restare recluso in una stanza all’alba di ogni mattina con un foglio bianco e una biro di fronte. << Scrivere fino a quando non si avrà voglia di sedersi stremati>> per comprendere appunto il valore del puro silenzio interiore, del trovarsi in perfetta armonia con il mondo dopo avere estirpato, sfogato ciò che si ha dentro. Il parlarsi ascoltandosi perchè non è la sordità il problema di Ruben ma ben altro. Arrivarci non sarà semplice.

Un film in cui tutto è accennato

Sound of Metal ha il limite di accennare più che sviluppare. Darius Marder segue infatti l’impostazione classica dei film di Cianfrance. Sembra quasi abbia la necessità di non perdere di vista l’evoluzione della superficie narrativa impostata che alla fine è la parte più debole, perché già vista nelle opere del suo mentore e quindi prevedibile da parte dello spettatore. Ma andando oltre ha invece la capacità di porre come elemento nuovo il gioco dell’ascolto-non ascolto che si trasforma in vera e propria colonna sonora capace di esaltare l’espressività di Riz Ahmed, chiamato alla prova più impegnativa della propria carriera -era già stato grande per esempio ne I Fratelli Sisters di Jacques Audiard o in Lo Sciacallo di Dan Gillroy– la sua gestualità, le pose di un corpo capace di esternare rabbia, devastazione interiore e vitalità, la voglia di comprendere, di ripartire, di non fermarsi di fronte al fallimento esistenziale. Così il film si muove tra imperfezioni e momenti di assoluto coinvolgimento che annullano le prime perché l’adesione tra chi c’è oltre lo schermo e chi osserva diventa totale. È forse questo lo scopo della scrittura filmica di Sound of Metal dove Marder preferisce fare un passo indietro, lasciando alla sensibilità dello spettatore di captare il senso segreto del film al di là della storia d’amore tra Ruben e Lou-ottima anche Olivia Cooke-, oltre a ciò che si vede. Entrando appunto nella nostra zona d’ombra, quella che va conosciuta, che abbiamo paura di affrontare perché zittire il rumore del silenzio è faticoso, ci impone scelte, conoscenza di noi stessi. Anche questo film in mancanza di sale…è visibile sulla piattaforma di Amazon Prime.

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