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31203_malaleche-cattivosangue.jpgNon vorrei apparire più strampalato di quanto lo sia nella realtà, spingendomi a paragoni assurdi. Ma esiste nel firmamento dei film mai proiettati nelle sale italiane ma distribuiti in dvd un’opera che richiama e anticipa, temporalmente, lo splendido << Gomorra >> di Matteo Garrone. E’ << Mala Leche >>, tradotto in << Cattivo sangue >>, un film cileno del 2004 scritto e diretto da Leon Erràzuriz. Ho scoperto che quando venne presentato qualcuno lo assimilò a << Trainspotting >> con il quale non ha in comune nulla né l’ambiente nel quale si svolge, né quel lieve senso ironico che a volte ci portava a sorridere vivendo quel film. No: << Mala Leche >> dell’ironia non sa che farsene, non se ne serve, non la usa perché non può, perché non deve. Quando l’autore la sfiora – soprattutto per mettere in mostra la dabbenaggine dei protagonisti – vira presto dove il suo progetto ha l’obiettivo. Siamo in Sudamerica, nei barrios di Santiago del Cile. La gente vive nelle baracche, tra carcasse arrugginite di automobili, bambini cenciosi per strada, in un mondo altro in cui la piccola delinquenza impera. Lo spaccio e l’uso di droga sono il naturale sbocco di un’adolescenza sfaccendata tra i campetti di calcio in terra battuta e i fratelli freddati da qualche piccolo boss locale o in qualche rapina andata male. La galera non è un’ipotesi, tutto sommato potrebbe persino apparire come il male minore. Ma i due protagonisti, drogati e beffati in uno scambio, non ci vogliono andare. devono riconsegnare il denaro perduto al boss che li gestisce, un piccolo cocainomane tartagliante che non impiega un secondo a uccidere chiunque gli capiti a tiro. Questo è l’antefatto di un film che non ha la presunzione di costruire alcuna trama. Che non cerca di offrire agli spettatori un finale meno scontato. Erràzuriz ce lo dice fin dalle prime immagini: tutto si svolgerà come chi conosce quei posti immagina. Ed è bravissimo in questo: ci priva dell’insopportabile consolazione, non si perde in inutili indagini sociali. Ci mostra le periferie del sud america come sono: segue i suoi bravissimi attori, muove nervosamente la macchina da presa mentre compiono piccoli furti, quando si azzuffano, quando anche il sesso si trasforma in una minaccia incombente, quando sniffano. Erràzuriz è duro, durissimo a volte, mai gratuito. Ci offre il << come è >> e non il come << potrebbe essere >>. Non c’è riscatto, ci sono solo fatti. C’è l’ennesima possibilità di non salvezza. E’un cinema moderno per confezione ma concreto. E’sociale perché non lancia messaggi, non pretende di fare filosofia spicciola, non sale in cattedra. Mostra. E’impegnato perché racconta e dal racconto scaturisce la realtà. Proprio come << Gomorra >>. Potrebbe anche avvicinarsi al filone de << L’odio >> kassowitziano ma solo perché tratta di periferia. La favela di Santiago è un luogo fisico ed è un luogo mentale. E’il posto che rassicura. E’quello dove forse è più giusto venire ammazzati.

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