Delude il Van Sant ecologista

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OGNI tanto capita anche ai grandi registi di impattare su una storia. Questa volta è toccato a Gus Van Sant che prendendo in mano un film che avrebbe dovuto dirigere Matt Damon lascia da parte i colpi di genio e si attiene alla sceneggiatura preparata dall’attore americano e dal suo amico John Krasinski. Nulla di male, sia chiaro: Van Sant va ad allungare semplicemente la lista di chi ha sbagliato nel 2012, trovandosi in ottima compagnia, da Cronenberg a Malick, tanto per citarne due. <<Promised Land>> non è un brutto film. Si fa guardare ma è privo di colpi di genio, è calma piatta, è un compitino pulito retto da ottimi attori, dalla professionalità della troupe, da belle immagini ma poco più. Ed è un peccato perché il soggetto, senza l’ansia di strizzare l’occhio all’happy end e al buonismo a tutti i costi, avrebbe potuto essere importante.

<<PROMISED LAND>> ci parla di come una grande compagnia di estrazione del gas, riesca a incidere nel tessuto sociale degli Usa meno conosciuti, offrendo denaro ai proprietari di fattorie e di terreni in crisi. Nel film la Global lo fa attraverso un giovane rampante che viene proprio dalla campagna, Matt Damon, fresco di nomina di vicepresidente commerciale delle aree di sua appartenenza. Conosce i territori, gli aspetti culturali della gente, vive camminando senza separarsi mai dagli scarponi che appartenevano al nonno contadino. Assieme a lui la collega Frances MacDormand. Le differenze tra i due sono evidenti. Steve Butler-Matt Damon è l’unico della sua generazione scolastica a non avere seguito gli studi di agraria. E’l’ansia del denaro che lo muove. Tutto si può acquistare:un terreno, il parere favorevole del capo di una piccola comunità. Per lei invece si tratta di semplice lavoro per dimenticare un matrimonio fallito e per assicurare una esistenza decente al figlio. I due formano un’accoppiata che sembra non trovare ostacoli. Noleggiano vecchie e scassate fuoristrada, si vestono come quelli del luogo. Nell’opera di convincimento non usano mai le maniere forti. Sanno parlare alla gente, sono vincenti, raddoppiano il fatturato e il numero dei contratti dei loro colleghi che operano in altre zone. Ma a McKinley non andrà così. Ci sarà un ex ingegnere della Boeing in pensione a mettere in guardia la comunità sui rischi delle trivellazioni e soprattutto arriverà un indomito ecologista, John Krasinski ad operare una campagna di controinformazione ai danni della Global che porterà Matt Damon a una presa di coscienza amara, al ritorno alle origini, all’ora della scelta. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. Il classico film molto ben realizzato che va bene vedere tra le mura domestiche ma che, per gente abituata ad altro, non vale il prezzo del biglietto.

PERCHE’ in <<Promised Land>> manca totalmente l’approfondimento. Tutto rimane in superficie nonostante ci fosse ampio materiale per sviluppare l’unica idea geniale del film, imperniata proprio sulla figura dell’ecologista. E’lui infatti che crea l’effetto a sorpresa finale. Uno sceneggiatore in gamba avrebbe proprio preso spunto da questo, ribaltando film e soggetto per inoltrarsi nel disegno non nuovo ma affascinante di come i grandi gruppi riescono a manipolare la gente creando un movimento d’opinione contrario e strumentale per rafforzare la posizione dominante, quella che sembra essere contestata. E’la finzione del potere che apparecchia dolce e salato in tavola. Che crea un’opposizione interna per giustificare se stesso. Tutto questo scivola invece come semplice fatto della storia. E non bastano le immagini di Matt Damon purificato e a posto con la propria coscienza per salvare dal naufragio un’occasione sprecata, della quale Gus Van Sant paga dazio. Meglio che ritorni a girare i propri film e non quelli degli altri.

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